L’ART. 79 CTS: ALLA RICERCA DEL (FUTURO) REGIME FISCALE DEGLI ETS TRA INNOVAZIONE E CONFUSIONE

Il regime fiscale degli ETS e degli altri enti non lucrativi deve ancora trovare una sistemazione definitiva con norme in parte già note e altre ancora da definire che, in buona parte, dovrebbero entrare in vigore dal periodo d’imposta 2024.

In questo contesto di grande movimento è opportuno richiamare l’attenzione  sull’art. 79 CTS, che costituisce il perno del nuovo regime fiscale degli ETS ai fini IRES, per metterne in evidenza le criticità operative.

Premessa

Il regime fiscale degli ETS e degli altri enti non lucrativi deve ancora trovare una sistemazione definitiva con norme in parte già note e altre ancora da definire che, in buona parte, dovrebbero entrare in vigore dal periodo d’imposta 2024.

Si intrecciano vari temi:

-l’entrata in vigore delle norme “sospese” del titolo X del CTS per il regime IRES degli ETS con i conseguenti adempimenti contabili;

-il nuovo regime IVA delle operazioni verso i soci degli ETS (e degli altri enti non commerciali) a base associativa) che passeranno da “fuori campo” a esenti;

-l’avvio della riforma fiscale complessiva che prevede interventi (anche) sul regime degli ETS e degli enti non commerciali;

-la modifica del regime (civile e) fiscale delle ASD che possono assumere anche l’ulteriore  qualifica di ETS (in particolare quella di APS), con i connessi problemi di coordinamento di due differenti ambiti normativi.

In questo contesto di grande movimento è opportuno richiamare l’attenzione  sull’art. 79 CTS, che costituisce il perno del nuovo regime fiscale degli ETS ai fini IRES, per metterne in evidenza le criticità operative.

1)L’innovazione dell’art. 79 CTS

L’art. 79 CTS riprende le norme previste dal TUIR in materia di IRES degli “enti non commerciali” per cui anche gli ETS (non societari) devono accertare la propria qualifica fiscale considerando i due tradizionali passaggi logico-giuridici successivi:

a)verifica del regime fiscale applicabile alle singole attività svolte, classificandole nei due “canestri” delle attività “non commerciali” o  “commerciali” in relazione alle loro concrete modalità di gestione, considerando inoltre la presenza o meno di specifiche agevolazioni;

b)attribuzione all’ETS della qualifica soggettiva di “ente non commerciale” o di “ente commerciale”, sulla base della prevalenza dei ricavi riferiti alle attività comprese nello specifico “canestro”, con l’eventuale inserimento nel primo dei due anche di proventi “figurativi”.

L’art. 79 CTS reca una significativa  innovazione rispetto al TUIR  in merito alla verifica di cui al punto a) in quanto prevede il passaggio dal tradizionale concetto di “economicità qualitativa” a quello di “economicità quantitativa”. Il concetto di “economicità qualitativa” prevede che le attività svolte a denaro siano fiscalmente considerate “commerciali” se presentano le caratteristiche d’impresa previste ai fini civili (artt. 2082 e 2195), come riprese e precisate ai fini fiscali (art. 55 TUIR): in sostanza si deve trattare di attività organizzate in forma di impresa che producono ricavi in grado di coprire i costi di esercizio, anche solo in via tendenziale.

Si tratta, come è noto, di un concetto abbastanza “elastico” che prescinde dalle risultanze di bilancio, che può registrare anche perdite, e che è stato più volte confermato dalla giurisprudenza.

Il nuovo concetto di “economicità quantitativa” recato dall’art. 79 CTS prevede che le “attività di interesse generale” ex art. 5 CTS  svolte dall’ETS siano considerate “non commerciali” ai fini IRES nei seguenti casi:

-SEMPRE: quando i ricavi dell’attività siano inesistenti, inferiori o pari ai relativi costi di gestione (art. 79, comma 2, CTS);

-IN VIA TRANSITORIA: quando i ricavi dell’attività siano superiori ai relativi costi di gestione, ma restino entro la franchigia del 6% di questi ultimi, “per ciascun periodo d’imposta e per non oltre tre periodi d’imposta consecutivi” (art. 79, comma 2-bis, CTS).

Il nuovo paradigma comporta alcuni problemi operativi a cui gli ETS devono prestare la dovuta attenzione per non incorrere in errori e, quindi, in recuperi d’imposta e sanzioni.

2)I problemi operativi dell’art. 79 CTS

a) Quali attività?

Il nuovo concetto quantitativo dell’art. 79 CTS si applica solo alle attività svolte dall’ETS che ricadono tra quelle identificate ai fini civilistici come “attività di interesse generale” dall’art. 5 CTS, salvo singole eccezioni.

Fanno parte di queste eccezioni le attività considerate  fiscalmente “non commerciali” ex lege che, pertanto, non sono soggette al rispetto del vincolo quantitativo:

-le attività previste dall’art. 79, comma 3: la ricerca scientifica (art. 5, lett. h) e le attività svolte dalle fondazioni ex-IPAB (art. 5, lett. a, b, c) );

-le attività previste dall’art. 85, commi 1 e 2 (con le eccezioni previste dal comma 3), svolte dalle APS (cioè le attività “decommercializzate” svolte verso i soci e soggetti assimilati);

-l’attività di “organizzazione di viaggi e soggiorni turistici”, prevista dall’art. 85, comma 4, svolta dalle APS (art. 5, lett. k).

L’ulteriore attività previste dall’art. 85, comma 1, comma 4, CTS cioè “la somministrazione di alimenti e bevande”, svolta dalle APS  riconosciute dal Ministero dell’Interno, fa parte delle “attività diverse” ex art. 6 CTS (v. oltre), così come rientrano in tale categoria anche le attività previste dall’art. 84, comma 1, lett. a) e b), svolte dalle ODV (vendita di beni ricevuti a titolo gratuito e cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari).

Non sono soggette al rispetto del vincolo quantitativo le “attività diverse”  ex art. 6 CTS, cioè quelle svolte in via secondaria e strumentale allo scopo di reperire risorse da destinare alla gestione complessiva dell’ETS: esse sono pertanto ontologicamente “commerciali” ai fini (civili e) fiscali. Deroga però a questo regime fiscale l’attività di “somministrazione di alimenti e bevande” effettuata dalle APS riconosciute dal Ministero dell’Interno: tale attività è “diversa” ai fini civili mentre è “non commerciale” ai fini fiscali per l’espressa deroga prevista dall’art. 79, comma 4, CTS.

La giurisprudenza ha più volte statuito che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande svolta da un ente non commerciale non ricade tra quelle “ricreative” e che essa è sempre da considerare come “attività commerciale”, salvo espressa deroga per le APS “qualificate”.

Infine appare coerente con l’impianto complessivo del CTS considerare che le “attività di interesse generale” a cui fare riferimento per il controllo del limite quantitativo vadano raggruppate per ogni voce dell’elenco recato dall’art. 5 CTS, senza ulteriori suddivisioni interne. In sostanza si ritiene che vadano escluse le due ipotesi estreme:

-effettuare un unico conteggio generale di ricavi/costi per tutte le attività “d’impresa” svolte dall’ETS, anche se di diversa tipologia;

-effettuare conteggi separati di ricavi/costi per le singole attività d’impresa, anche se di uguale tipologia.

b) Corrispettivi

L’art. 79 CTS fa riferimento ai corrispettivi delle “attività di interesse generale” svolte, cioè ai ricavi (come precisato al comma 2-bis), costituiti dalla controprestazione dei beni ceduti e/o dei servizi prestati dall’ETS. Si deve quindi trattare di ricavi effettivi, senza alcuna considerazione dei ricavi “figurativi”, anche se rilevanti per altri aspetti fiscali (e civili) degli ETS.

Il termine di “corrispettivi/ricavi” va inteso ai sensi dell’art. 85 TUIR, per cui comprende anche i contributi versati da enti pubblici o privati per le “attività di interesse generale” svolte dall’ETS, anche in modo accreditato, contrattualizzato o convenzionato (art. 79, comma 2, CTS). L’Agenzia delle Entrate (circolare 34/E/2013) ha chiarito che i contributi assumono rilevanza fiscale come componenti del reddito d’impresa commerciale quando tra le parti (ETS-ente erogatore) intercorre un rapporto giuridico “sinallagmatico”, nel quale il contributo ricevuto dall’ETS costituisce il compenso per il servizio effettuato e/o per il bene ceduto.

L’ente pubblico non dovrà effettuare la ritenuta d’acconto del 4% del contributo erogato (art. 28 D.P.R. 600/1973), in quanto l’art. 89, comma 7, del CTS estende a tutti gli ETS “enti non commerciali” la norma di esenzione espressamente prevista per il vecchio regime delle ONLUS.

Non entrano nel conteggio dell’”economicità quantitativa” gli altri componenti positivi del reddito d’impresa diversi dai ricavi:  plusvalenze, sopravvenienze attive, proventi finanziari, singole poste dichiarate non imponibili ai fini IRES ex legge (come è avvenuto per i recenti contributi per il COVID).

c) Costi

L’art. 79 CTS fa riferimento ai “costi effettivi” dell’attività di interesse generale con esclusione pertanto dei costi figurativi, che erano previsti dalla bozza iniziale del CTS, ma che poi sono stati espunti dal testo definitivo.

L’art. 79 CTS precisa che i costi effettivi comprendono:

-i costi diretti          (per intero)

-i costi indiretti        (pro quota)

-i costi generali, ivi compresi quelli finanziari e tributari (pro quota).

La terminologia utilizzata è contabile e non strettamente giuridica per cui per definire il perimetro dei costi diretti, indiretti e generali ed i criteri di imputazione di queste ultime due categorie si deve applicare, con la dovuta cautela, quanto previsto dai principi contabili, in particolare si può fare riferimento all’OIC 13 (rimanenze) e all’OIC 23 (lavori in corso su ordinazione).

I costi “indiretti” e “generali” vanno quantificati e poi correttamente imputati alle varie attività svolte dall’ETS, tramite indici di riparto ragionevoli: l’operazione appare complessa se l’ETS svolge contemporaneamente “attività di interesse generale” ricadenti in voci diverse, di cui alcune “commerciali” e altre “non commerciali”, “attività diverse” e attività fiscalmente non rilevanti (es. raccolta fondi, attività patrimoniale).

Per tale riparto non si può fare riferimento al criterio proporzionale previsto dall’art. 144, comma 4, TUIR, per cui i “costi promiscui” sono ripartiti sulla base del rapporto tra “l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”, in quanto i costi indiretti e generali entrano a far parte del conteggio di “economicità quantitativa” della singola attività che è precedente alla loro classificazione tra “non commerciali” e “commerciali”.

E’ evidente che diversi metodi di quantificazione e di riparto dei costi indiretti e generali possono portare a risultati diversi per la qualificazione fiscale delle singole categorie di “attività di interesse generale” svolte e incidere, di conseguenza, sulla corretta individuazione della soggettività fiscale dell’ETS, lasciando intravedere spazi di contrasto con il fisco.

d) Criteri per la determinazione dei valori dei corrispettivi e dei costi

L’art. 79 CTS non offre alcuna indicazione sul criterio contabile da utilizzare per la determinazione dei ricavi e dei costi effettivi e, in particolare, non prevede alcun raccordo (esplicito) con le norme in materia di tenuta delle scritture contabili.

Gli ETS che svolgono attività potenzialmente d’impresa commerciale possono tenere per tali attività le scritture contabili previste dal regime di contabilità semplificata (art. 18 DPR 600/1973) o di contabilità ordinaria (per opzione); le sole ODV e APS possono operare nel regime forfetario ex art. 86 CTS.

Il regime di contabilità semplificata opera con il criterio di “cassa ibrida” oppure con il criterio della “fatturazione IVA”, mentre il regime forfetario ex art. 86 CTS opera con il criterio di cassa e, per di più, non prevede la tenuta di alcuna scrittura contabile fiscale.  Questi due regimi non sono in grado di offrire all’ETS gli elementi contabili corretti per verificare il superamento o meno del rapporto di ”economicità quantitativa”, che possono derivare solo da una contabilità tenuta con il criterio di competenza economica: in sostanza gli ETS in regime semplificato o forfetario dovranno effettuare conteggi extracontabili ai soli fini della verifica quantitativa prevista dall’art. 79 CTS.

Si ritiene che la la verifica dell’ “economicità quantitativa” ex art. 79 CTS sia una fase preliminare che attiene alla qualificazione fiscale delle singole attività, per cui i costi effettivi devono essere assunti nel loro importo totale; solo successivamente, se le attività saranno “commerciali”, si applicheranno le regole sulla loro deducibilità parziale/totale ai fini della determinazione del reddito imponibile ai fini IRES.

e) Il confronto e la scansione temporale

L’art. 79 CTS prevede che confronto ricavi/costi sia effettuato per singolo periodo d’imposta, con effetto retroattivo dall’inizio di ogni esercizio. La norma è in linea con l’impostazione del TUIR sugli enti non commerciali e  nasconde l’insidia pratica che tale confronto  si può fare solo quando l’ETS è in possesso dei dati contabili definitivi e quindi, in sostanza, in sede di redazione del bilancio d’esercizio; nel corso dell’esercizio l’ETS potrà fare affidamento su proiezioni contabili, per loro natura non affidabili.

L’eventuale passaggio in corso d’esercizio di singole categorie di “attività di interesse generale” da “non commerciali” a “commerciali” comporta l’esecuzione (in ritardo) dei relativi adempimenti fiscali e contabili; l’eventuale passaggio inverso comporta analoghi problemi, oltre al noto tema della gestione fiscale dei beni strumentali utilizzati che dovrebbero essere “autoconsumati” ai sensi dell’art. 86, comma 1, lett. c), TUIR in quanto destinati a “finalità estranee all’esercizio d’impresa”.

L’autoconsumo potrebbe anche non rilevare ai fini IVA se l’attività di interesse generale mantiene comunque il requisito di “economicità qualitativa” ex art. 4 DPR 633/1972.  Il problema dei beni strumentali si pone in modi peculiari negli ETS nei quali sono spesso usati in modo promiscuo per tutte le attività svolte, per cui ai fini fiscali potranno avere valori “misti” (pro quota) tra “commerciali” e “non commerciali”.

 Deroga al principio dell’annualità l’uso della franchigia del 6% sui costi che deve essere applicata per ogni singola categoria di “attività di interesse generale” per tre esercizi consecutivi; a tale fine l’ETS dovrà avere cura di mantenere inalterati i criteri di conteggio e di imputazione contabile dei costi al fine di non alterare il loro confronto temporale.

La franchigia costituisce una presunzione assoluta che trasforma un’attività di interesse generale da “commerciale”, in quanto generatrice di avanzi di gestione, a “non commerciale”, ma solo se i dati contabili di base sono corretti  e comparabili nel tempo.

3)L’art. 79 CTS a confronto con IRAP e IVA

Il nuovo criterio di “economicità quantitativa” posto dall’art. 79 CTS ai fini IRES per definire la natura “commerciale” o “non commerciale” delle “attività di interesse generale” svolte dall’ETS esplica la sua efficacia anche ai fini IRAP in forza del rinvio previsto dall’art. 10, comma 5, D. Lgs. 446/1997. Ciò comporta, in particolare, che la base imponibile delle attività che da “commerciali” passino a “non commerciali” verrà determinata con il criterio “retributivo” e non più con il criterio del “bilancio”.

 Il criterio retributivo prevede la tassazione dell’importo dei redditi di lavoro dipendente come determinato ai fini INPS (imponibile contributivo) senza alcuna deduzione, per cui il passaggio a “non commerciale” comporta un aggravio di imposta a carico dell’ETS che occupa tale tipo di lavoratori.

L’innovazione recata dall’art. 79 CTS non ha invece alcuna rilevanza ai fini IVA, in quanto il CTS non ha modificato l’art. 4 DPR 633/1972; per tale imposta resta pertanto valido il tradizionale requisito della “economicità qualitativa”.

Resta applicabile alle “attività di interesse generale” “non commerciali” ai fini IRES, anche se rilevanti ai fini IVA, l’esonero dall’obbligo di certificazione dei corrispettivi e dall’invio telematico dei corrispettivi (art. 87, comma 5, CTS, come integrato dal D.L. 73/2022).

4)L’art. 79 CTS e le scritture contabili

Come è noto dalla somma dei ricavi derivanti dalle attività “non commerciali” o “commerciali” deriva la natura soggettiva dell’ETS come “ente non commerciale” oppure come “ente  commerciale”, con l’eventuale inserimento anche dei ricavi “figurativi” delle attività “non commerciali”. Gli ETS qualificati dall’art. 79 CTS come “enti non commerciali” devono tenere, per le sole attività “commerciali”, le scritture contabili fiscali previste dal regime semplificato o dal regime ordinario (art. 87 CTS); la sopra ricordata discrasia con il regime IVA comporta però che l’ETS “non commerciale” dovrà gestire un “doppio binario IVA” in quanto dovrà inserire nei (soli) registri IVA le operazioni relative alle “attività di interesse generale” che soddisfano il requisito “qualitativo” dell’art. 4 DPR 633/72, anche se rientranti nel limite  “quantitativo”.

Dall’1/1/2024 gli ETS a base associativa dovranno inserire nei registri IVA anche le operazioni svolte a denaro verso i soci e soggetti assimilati, che passeranno da “fuori campo” a “esenti”, pur restando “decommercializzate” ai fini IRES/IRAP..

5) L’art. 79 CTS e il rapporto con il regime civile degli ETS

Per i soggetti non societari esiste una sostanziale uguaglianza tra il concetto di “impresa commerciale”, ai fini civili, e di “ente commerciale”, ai fini fiscali. Con l’innovazione dell’art. 79 CTS questa uguaglianza non sarà più vera per gli ETS che svolgono un’attività (complessivamente) d’impresa commerciale ai fini civili, ex artt. 2082 e 2195 C.C., ma che, rispettando il limite quantitativo ricavi/costi, saranno classificati come “enti non commerciali” ai fini fiscali. In questo caso l’ETS-impresa sarà tenuto a chiedere/mantenere l’iscrizione al Registro Imprese e a redigere il bilancio con gli schemi previsti dal C.C. per le società di capitali (art. 13, commi 4 e 5, CTS), ma dovrà presentare la dichiarazione IRES/IRAP con i modelli degli enti non commerciali.

Si pensi al caso di una Fondazione di matrice religiosa che gestisce una scuola paritaria (art. 5, lett. d, CTS) e che registra costantemente perdite di esercizio o risicati pareggi economici (entro la franchigia del 6%), periodicamente ripianati con versamenti in conto capitale da parte dell’ente fondatore. Tale ETS avrebbe un regime civile e fiscale così articolato:

a)ai fini civili si tratterebbe di un’impresa, soggetta a iscrizione al Registro Imprese con obbligo di redazione e deposito del bilancio ex art. 13 CTS;

b)ai fini fiscali IRES/IRAP si tratterebbe di un “ETS-ente non commerciale” (in particolare con soggezione ad IRAP con il criterio retributivo, particolarmente oneroso dato il costo del personale dipendente);

c)ai fini fiscali IVA sarebbe soggetto agli obblighi ordinari ex art. 4 DPR 633/1972.

L’alternativa per tale Fondazione è quella di rimanere estranea al Terzo Settore oppure di acquisire la qualifica di “impresa sociale” ex D. Lgs. 112/2017, e non di ETS ordinario, per operare nel regime di impresa-ente commerciale.

6) Uscire dalla confusione?

L’innovazione dell’art. 79 CTS deriva dalla volontà dei redattori del CTS di ridurre il carico tributario degli ETS che svolgono attività (anche) imprenditoriali, traslando in tale ambito il concetto di attività svolta “con modalità non commerciali” già usato ai fini IMU per gli enti non commerciali in generale.

Tale innovazione comporta però problemi operativi complessi che richiedono attenzione (e costi di gestione) da parte dei singoli ETS e che possono prestare il fianco a contestazioni da parte degli organi di controllo per cui risulta evidente che sarebbe opportuno trovare una soluzione più semplice per favorire gli ETS, entro i limiti consentiti dalle norme europee.

A tale scopo si ritiene che sarebbe opportuno adottare una strategia più articolata.

In linea generale sarebbe opportuno abrogare l’art. 79 CTS e rimandare il regime fiscale degli ETS alle regole generali del TUIR in materia di “enti non commerciali”, per evitare di creare una duplicità di regimi fiscali per la generalità degli enti non commerciali, inclusi gli ETS. Come conseguenza di tale abrogazione andrebbero riscritti gli artt. 84 (regime delle ODV), 85 (regime delle APS) e 87 (scritture contabili, con semplice rinvio alle norme del DPR 600/1973).

In seconda battuta andrebbero rese omogenee le norme di favore previste dagli art. 85 e 86, per ODV e APS, visto che la loro operatività pratica è molto sovrapponibile, valutando la possibilità di estenderla anche a ad altre tipologie di ETS (es. fondazioni attive nei settori sociali e assistenziali).

In terzo luogo andrebbe meglio definita la norma dell’art. 143, comma 3, lett. b), TUIR, che prevede la non concorrenza al reddito dei contributi erogati da enti pubblici.

In quarto luogo si potrebbe valutare di estendere agli ETS, tutti o talune categorie, la norma prevista per le imprese sociali di sospensione d’imposta per gli utili accantonati a riserva.

Infine si potrebbe valutare l’ipotesi di inserire gli ETS, tutti o solo alcune tipologie, nel perimetro degli enti non lucrativi cui spetta la riduzione dell’aliquota IRES, inserendoli nelle nuove norme destinate a sostituire l’art. 6 DPR 601/1973 (attualmente in proroga).

Seguendo questi suggerimenti si avrebbe un regime fiscale più legato alla “tradizione” tributaria che potrebbe rivelarsi per gli ETS più efficace rispetto ad un regime con un tasso di “innovazione” troppo ardito, che rischia di sconfinare nella confusione.

Dott. Tiziano Cericola

Dottore Commercialista  e Revisore Legale

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